Social media come megafoni nel deserto?

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Introduzione

Vi sarà capitato di sentir dire: “hai costruito una cattedrale nel deserto.”

Visto che l’immagine che il mio cervello costruisce quando dico o sento quella frase mi piace, ho voluto approfondire e scoperto che:

“Il termine cattedrale nel deserto indica, nel linguaggio giornalistico, politico e storico-economico, una locuzione (coniata dall’uomo politico Luigi Sturzo nel 1958) per indicare grandi e costose imprese industriali (generalmente a carico dello Stato) in zone considerate inadatte (nel caso specifico, in Sicilia).”

Tale locuzione è stata ripresa poi e generalizzata nel linguaggio comune italiano, sempre con tono polemico, con riferimento a impianti industriali dislocati in aree depresse, senza un’adeguata previsione della funzionalità delle infrastrutture esistenti, e perciò sproporzionati, antieconomici, incapaci di dare avvio a un reale processo d’industrializzazione. Un’espressione simile ma non identica nei paesi anglosassoni è white elephant.”

Fonte.

La cattedrale come l'ago

Non mi è molto chiaro il parallelo con degli elefanti bianchi, probabilmente a causa del mio inglese rimasto a livello scolastico, ma mi risulta evidente invece come questa espressione si sia diffusa anche in altri ambiti.

Spesso la uso anch’io con i miei clienti quando realizzano un sito bellissimo ma introvabile nel web.

Si tratta dello spostamento della realtà nel virtuale e anche le cattedrali insospettabilmente vengono buone in questo caso.

Il web è tutt’altro che un deserto potreste osservare e avreste ragione, ma dal deserto eredita la caratteristica della vastità a perdita d’occhio, tanto che risulta impossibile trovare qualcosa senza i motori di ricerca o coordinate precise, l’URL di un sito web per esempio.

Quando però il nostro url lo conosciamo solo noi ecco che l’effetto “ago in un pagliaio” è servito.

Nota: non uso quest’ultima espressione perché paragonare un sito web ad un ago non è propriamente edificante per un marketer, d’altra parte però “costruire una cattedrale in un pagliaio” sarebbe stata un’espressione poco sensata e addirittura controproducente dal punto di vista imaginifico.

Dunque che messaggio voglio passare, a parte esplorare la dinamicità della lingua italiana dal secolo scorso ad oggi?

Parliamo di Social Media

Ohibò cosa c’entrano i social adesso.

C’entrano sicuramente e il gancio me lo dà la mia adorata insegnante di lettura espressiva, Enrica Barèl che ci ricorda come Media sia in realtà una parola latina, per chi è interessato può guardare qui.

Dunque la lingua si evolve, ci offre espressioni utili per rappresentare metaforicamente la realtà e si avvale ancora del latino per definire strumenti moderni come i social media, ed è a questo punto che il filo logico del discorso devia verso il tema principale dell’articolo: i megafoni.

Sì, i social media sono dei megafoni o almeno così li considero io, megafoni per portare la nostra voce più lontano possibile negli spazi smisurati del web.

Quindi sono molto utili, permettono alla nostra voce in forma scritta o sonora, per la verità anche alla nostra immagine in questo caso, di essere sentita e vista da molte persone, anche lontane da noi.

Qualcosa di impensabile e irrealizzabile fino a poco più di 2 decenni fa, Facebook nacque nel 2004.

Prima, per raggiungere con i nostri messaggi tante persone e così rapidamente come oggi, il megafono era solo uno degli elementi necessari, si doveva viaggiare fisicamente, pubblicare su riviste, fare incontri, farsi ospitare ecc..

Oggi è tutto molto più facile ed è anche più facile farsi disorientare.

I social non sono gratis

Lo avrete sentito dire più volte dunque non mi soffermo troppo sul titolo di questo paragrafo, è evidente comunque che per ottenere l’effetto eco del megafono un social media bisogna pagarlo.

Post ben scritti e colorati senza la spinta di una “sponsorizzata” come si usa dire in gergo, difficilmente diventano virali e certamente non raggiungono il pubblico che a noi interessa.

Tipicamente chi sponsorizza vuole che il suo messaggio arrivi a determinate categorie di persone, quindi chiama uno specialista che lo aiuti a pianificare questo tipo di pubblicazioni.

Vuole che il suo obiettivo: consumatori, altri imprenditori, partner, comunità o qualunque sia quello che in gergo si chiama target, veda quello che pubblica, la categoria dei destinatari cambia in base all’intento comunicativo.

Un esempio: se vendo cioccolata vorrò targettizzare i genitori dei bambini o i bambini golosi stessi che potrebbero mangiarla.

Se vendo servizi di consulenza aziendale vorrò targettizzare altri imprenditori come me, per offrire loro la mia soluzione.

Tutto questo fila liscio in accordo allo schema:

  • capisco il mio target e ne studio le peculiarità
  • di conseguenza creo il mio contenuto pubblicitario
  • scelgo il megafono di diffusione (per esempio un social)
  • pago lui e il consulente che mi aiuta a creare il messaggio e raggiungere i destinatari dello stesso
  • ottengo un risultato

Quale risutato

Attenzione a questo punto, quale risultato?

Chiunque potrebbe pensare che il risultato sia un contratto, oppure la vendita di un prodotto, ma spesso le cose non stanno così.

Il percorso per arrivare al “grano” è molto più accidentato e passa da campagne di marketing di:

  • Awareness
  • Consideration
  • Lead generation / conversion

E solo al termine di questo che è definito funnel (imbuto) possiamo sperare di piazzare una vendita.

Infatti qui finisce il lavoro del marketer e inizia quello del commerciale.

Bello è? Pensavate fosse più facile?

È lo so, anch’io all’inizio, vi siete forse arenati sul concetto di funnel e tutto questo vi sembra più un tunnel e non vedete ancora la luce dall’altra parte?

Vi capisco.

Torniamo dunque al risultato, i nostri megafoni ci servono per ottenere diversi risultati intermedi

  • Più visibilità del nostro brand
  • Maggiore credibilità del nostro brand
  • Conferme evidenti da parte di altri clienti e avventori che si sono serviti già da noi
  • Nuovi potenziali acquirenti

Rieccoci qui, siamo pronti a scatenare il commerciale su questi contatti caldi e pronti a comprare da noi.

Ma nel frattempo quanto abbiamo speso?

Non è una spesa è un investimento

Quante volte vi hanno detto anche questo?

Si investe a vari livelli nel marketing per ottenere un risultato che senza questo investimento sicuramente non sarebbe arrivato.

Tutto giusto, però ora mi metto un attimo il cappello dell’imprenditore che investe.

“Sono disposto a investire volentieri a fronte di un risultato potenziale che mi soddisfi, ma è così?”

Purtroppo spesso i megafoni che utilizziamo ci illudono di darci risultati considerevoli in cambio dei nostri soldi, ma usano dei parametri di misurazione (i cosiddetti KPI, key performance indicator) poco efficaci a tal fine.

-Le impressions: cioè quante persone hanno visto la mia pagina.

-I click: cioè quante persona hanno cliccato, ma su cosa? Sulla mia pagina, sull’immagine segnaposto del mio post, su un bottone, su “lascia i tuoi dati” o su acquista?

-I like: cioè apprezzamenti a ciò che ho pubblicato.

-I commenti.

-I follower: cioè persone che da ora in poi ci seguiranno e vedranno quello che pubblico anche in organico (cioè senza sponsorizzare i miei post).

È importante capire per l’imprenditore quali parametri sono significativi per lui e quali click vorrebbe ricevere, altrimenti i soldi sono spesi male e si rischia di farsi ammaliare dalle cosiddette vanity metrics, cioè metriche che soddisfano la nostra vanità ma non il nostro conto (like, follow, commenti, ecc..)

 

Un esempio:

durante una campagna per raccogliere nuovi potenziali acquirenti (lead), prima è utile farsi conoscere e fare altre campagne preparatorie in cui l’obiettivo è far seguire da più persona possibile la propria pagina social.

Bello in teoria e logico, ma quanti devono diventare questi “follower” e quanto mi costa nel complesso questo percorso verso la raccolta di nuovi contatti?

1400 euro in totale, per tre mesi e tre sponsorizzate in tutto, 450 euro la prima e la seconda di awareness/engagement e poi una di lead generation.

Ottimo, si parte, risultato della prima campagna di un mese 10 nuovi follower.

Mmm, le stime dicevano dai 100 ai 700 click di interazione e l’obiettivo principe erano proprio i follower..

“Sì.. però ora ogni volta che pubblicherò ci saranno 10 persone in più che vedono i miei post non sponsorizzati!”

No, l’algoritmo comunque mai completamente limpido, fa vedere solo ad una parte dei tuoi follower cosa scrivi.

“Quale? “

Dipende.

“Da cosa?”

Da molti fattori variabili.

“Quindi?”

Quindi sono come le previsioni del tempo: oggi sereno, variabile con possibilità di precipitazioni sparse..

A parte gli scherzi è molto importante capire la teoria e seguire di conseguenza una strategia di marketing logica, ma per valutare l’efficacia di una campagna è importante misurare lungo il cammino e cambiare in corsa direzione quando serve, prima di accorgerci che i nostri megafoni stanno solo muovendo molta aria nel deserto.